La stoltezza della guerra e la sapienza dell’accoglienza

La guerra non è un fantasma del passato, ma è diventata una minaccia costante. Il mondo sta trovando sempre più difficoltà nel lento cammino della pace che aveva intrapreso e che cominciava a dare alcuni frutti. Ogni guerra lascia il mondo peggiore di come lo ha trovato. La guerra è un fallimento della politica e dell’umanità (Papa Francesco, Fratelli tutti), una resa vergognosa, una sconfitta di fronte alle forze del male. Non fermiamoci su discussioni teoriche, prendiamo contatto con le ferite, tocchiamo la carne di chi subisce i danni. Mai come in quest’ora della storia siamo chiamati ad assumerci delle responsabilità condivise. La vita ci impone di scegliere la via dell’accoglienza, come segno e stimolo per affrontare la vita con uno sguardo benevolo e allo stesso tempo responsabile. Come comunità cristiana si è scelto di ospitare in un appartamento della parrocchia un nucleo famigliare ucraino in fuga dalla propria terra e dalle proprie radici. Accogliere, proteggere, promuovere e integrare restano la bussola per affrontare la questione della fuga dalla guerra. Siamo comunità proprio perché ospitali e le nostre comunità sanno cosa significa vivere di accoglienza. Nelle vene delle nostre comunità scorre il DNA dell’accoglienza e dell’aiuto. Sono partite grandi collaborazioni anche se in sordina, ma vi chiediamo un aiuto. Ogni aiuto è ben accetto. Ci stiamo organizzando per degli aiuti per i pranzi e cene di questa famiglia composta da tre donne, tre ragazzi e due bimbi. In collaborazione con i tre supermercati di Andalo (Marcante, Coop e Conad) si sta organizzando una raccolta fondi per acquistare alimenti e prodotti di prima necessità che serviranno a questa famiglia arrivata oggi. In chiesa è presente la bussola delle offerte per contribuire alle spese. Ospitalità significa fare spazio e avere cura. Prendendoci cura dell’altro ci prendiamo cura anche di noi. Concludiamo con il messaggio per la pace di Papa Francesco: «La pace è insieme dono dall’alto e frutto di un impegno condiviso. C’è, infatti, una “architettura” della pace, dove intervengono le diverse istituzioni della società, e c’è un “artigianato” della pace che coinvolge ognuno di noi in prima persona. Tutti possono collaborare a edificare un mondo più pacifico: a partire dal proprio cuore e dalle relazioni in famiglia, nella società e con l’ambiente, fino ai rapporti fra i popoli e fra gli Stati».

don Daniel

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