San Carlo Borromeo

SAN CARLO BORROMEO IN BREVE…

San Carlo Borromeo era una figura carismatica e di grande rilievo per il suo tempo. Operò con grande risolutezza non solo nella sua Diocesi, quella di Milano, e in quelle lombarde ma in tutte le terre della “cristianità”.

La sua attività come vescovo fu un punto di riferimento per il rinnovamento delle diocesi europee grazie alla sua grande capacità organizzativa riportando l’ordine nella vita del popolo di Dio.

Carlo Borromeo fu uno degli ecclesiasti più in vista del suo tempo e, dopo la sua vera conversione, visse nella preghiera e nell’umiltà privo degli sfarzi consoni ad una persona del suo rango.

Durante la sua vita fu stretto collaboratore dello zio Papa Pio IV fin dall’età di 22 anni, riaprì il Concilio di Trento e guidò la Diocesi di Milano dal 1565 fino alla sua morte avvenuta il 3 novembre 1584 all’età di 46 anni.

Il primo novembre 1610 venne solennemente canonizzazione in San Pietro alla presenza di Papa Paolo V e ai giorni nostri la sua figura viene ammirata e ricordata non solo in Europa ma anche in Africa, America Latina ed in Asia.

Ad Arona, sulle sponde del Lago Maggiore, domina dall’alto la statua di San Carlo Borromeo benedicente. 

Costruita nel XVII sec. in rame e ferro, la scultura è alta 35 metri compreso il basamento, ma la sua caratteristica è la possibilità di visitarla dall’interno grazie ad una lunga scala che si arrampica fino a raggiungere due feritoie poste proprio sugli occhi che permettono di guardare il mondo sottostante; guardare il mondo attraverso i suoi occhi significa guardare il mondo attraverso la carità e l’umiltà.

L’OPERA PASTORALE

Carlo Borromeo nasce nel castello paterno di Arona da Gilberto e Margherita De Medici il 2 ottobre 1538.

A soli 12 anni riceve il titolo di “commendatario” di un’abbazia benedettina del luogo e il titolo onorifico gli frutta una notevole rendita.

La sua giovinezza la trascorre a Pavia dove frequenta l’università laureandosi il 6 dicembre 1559 in diritto canonico e civile.

Alcuni giorni dopo, il 25 dicembre 1559, lo zio materno Gian Angelo De Medici viene eletto Papa e, secondo l’usanza del tempo in cui i propri nipoti venivano promossi alle alte cariche della curia, Carlo viene nominato cardinale.

Questa scelta si rivelò per il Papa particolarmente felice perché il nipote fu veramente un collaboratore di primo livello, dando anche origine a quella figura che noi oggi conosciamo come “Cardinale Segretario di Stato” in perfetta sintonia con lo zio, lo consigliava e con intelligenza eseguiva i suoi ordini.

Successivamente, l’otto febbraio 1560, venne nominato amministratore apostolico della diocesi di Milano; una diocesi imponente con una popolazione totale di 560000 anime, di cui i residenti in città erano all’epoca 180000, con oltre 7500 tra religiosi e religiose suddivisi in un’organizzazione pastorale composta da circa 800 parrocchie, 1421 chiese sussidiarie, 926 cappellanie e tutta una serie di istituzioni pastorali di grande importanza come scuole e opere pie di vita spirituale e di volontariato, rivolte ai poveri e agli orfani che davano sostegno materiale a circa un sesto della popolazione.

Carlo visse il primo periodo della sua permanenza a Roma in maniera moralmente irreprensibile ma in modo sfarzoso, occupandosi contemporaneamente all’accrescimento della ricchezza della sua famiglia.

Il 19 novembre 1562 muore improvvisamente il fratello Federico, capo della famiglia, questo fatto scaturì un profondo cambiamento in Carlo che, invece di succedergli, prese la decisione di impegnarsi al servizio di Dio. 

Modificò il suo modo di vivere facendosi ordinare prima sacerdote e poi arcivescovo di Milano; si mise sotto la direzione spirituale del padre gesuita Ribera e incominciò una vita interamente consacrata a Dio.

Lasciò ogni divertimento, il digiuno e la preghiera divennero molto importanti nella sua vita, volle ricevere anche una formazione teologica e un’istruzione per diventare un oratore capace di catturare l’attenzione della gente.

Tra i tanti compiti svolti da Carlo ci fu quello storico della riconvocazione del Concilio di Trento (1562-1563), diventando uno dei principali promotori della cosiddetta “Controriforma” e collaborando alla stesura del “Catechismo Tridentino”.

A Concilio concluso, in un’epoca particolarmente delicata per la cristianità, Carlo si dedica a riformare profondamente la Chiesa dal suo interno senza timori nel difenderla contro le ingerenze dei potenti, rinnovando le strutture ecclesiali, sanzionando e correggendo le loro mancanze. Consapevole del fatto che la riforma della Chiesa, per essere credibile, deve iniziare dai Pastori, il futuro Santo incoraggia sacerdoti, religiosi e diaconi a credere di più nella forza della preghiera e della penitenza, trasformando la loro vita in un vero cammino di santità e ripetendo a loro: “Le anime si conquistano in ginocchio“.

Un grande dispendio di tempo e di energia furono investiti per l’applicazione della riforma di Trento impostando il programma di rinnovamento attraverso visite apostoliche delle diocesi suffraganee.

Si rese conto che dopo decenni di mancanza di una vera guida era necessario ridare alla sua diocesi nuove regole pratiche, precise e aderenti alla realtà e con questo scopo promosse Sinodi, Concili Provinciali e annualmente radunava tutto il clero per rivolgergli la sua parola e istruirlo alle nuove regole pastorali che andava elaborando.

Nei Sinodi Carlo disciplina con norme la vita del clero, la liturgia, l’arredamento delle chiese e l’amministrazione dei beni temporali delle parrocchie nei minimi particolari e nelle visite pastorali ne verificava la loro applicazione.

Nel 1566 Carlo iniziò a visitare le parrocchie dell’arcidiocesi, le visite pastorali erano spesso molto faticose ma permettevano di capire il livello della qualità della vita del cristiano attraverso anche il contatto diretto con la popolazione.

Inoltre nelle sue visite amministrava il sacramento della Cresima e distribuiva personalmente la Comunione; prima di andarsene dava ai parroci disposizioni dettagliate a riguardo del mantenimento dei libri parrocchiali e alle misure da attuare per il miglioramento della vita cristiana e pastorale.

Carlo progettò anche la fondazione di seminari nella sua Diocesi affidando inizialmente la loro direzione ai Gesuiti, ordine religioso appena giunto a Milano, facendo costruire un edificio in Corso Venezia per ospitare i seminaristi.

Da questo edificio si formarono i preti milanesi fino agli anni 30 del XX secolo, quando il seminario venne trasferito a Venegono Inferiore.

Borromeo istituì nel territorio della diocesi anche seminari minori o specializzati destinati per le vocazioni tardive o per i parroci di campagna.

In questo modo si iniziò a sostituire la tradizionale selezione e formazione del clero che ormai risultava inadeguata.

Nel 1579 la direzione dei seminari passò ai sacerdoti della Congregazione degli Oblati che facevano vita comune e si ponevano a completa disposizione all’arcivescovo.

Nell’ambito delle riforme del clero, Carlo riunì il clero diocesano con la soppressione del clero decumano, costituito dai preti di campagna con proprie regole e diritti.

L’azione riformatrice non gli risparmia ostilità e resistenze. 

Contro di lui i cosiddetti “Umiliati”, un ordine religioso a rischio di derive dottrinali, che il 26 ottobre 1569 organizza un attentato.

Il monaco fra Girolamo Donato detto il Farina spara alle spalle di Carlo un colpo di archibugio mentre era raccolto in preghiera nella sua cappella. 

L’attacco fallisce e il futuro Santo rimase miracolosamente illeso permettendogli di continuare la sua missione, perché “desiderava Pastori che fossero servi di Dio e padri per la gente, soprattutto per i poveri” (Papa Francesco, Udienza alla Comunità del Pontificio Seminario Lombardo in Roma, 25.01.2016).

Carlo si impegnò personalmente anche nell’istruzione della sua gente attraverso le sue prediche, molto sentite dal popolo, ma erano comunque insufficienti ed inoltre era consapevole della necessità di una formazione religiosa strutturata.

A questo scopo valorizzò ampiamente un’esperienza già presente a Milano, la “Compagnia della Dottrina Cristiana” fondata nel 1536 da Castellino da Castello istituendola in tutte le parrocchie.

I fedeli furono insistemente invitati a parteciparvi e ai parroci l’obbligo di impartire le lezioni di catechismo, mentre per i fanciulli furono organizzate anche lezioni in cui si insegnava a leggere e a scrivere.

Prima di morire Carlo progettò di affiancare ai preti anche la figura del laico, che si mettesse a disposizione dell’arcivescovo per particolari bisogni di apostolato, fu un’idea quasi precorritrice dell’Azione Cattolica, che però non ebbe attuazione pratica.

Carlo promosse l’istruzione nell’arcivescovado facendo costruire a Pavia tra il 1564 e 1568 l’Almo Collegio Borromeo per studenti universitari poveri mentre a Milano inaugura nel 1572 l’università di Brera con le facoltà di lettere, filosofia e teologia.

Nel 1580 Carlo riceve dal Papa Gregorio XIII la facoltà di conferire le lauree in teologia, concessione che darà inizio alla Pontificia Facoltà Teologica del seminario di Milano.

Intraprese anche opere sociali come la costruzione di un albergo per il ricovero notturno per i poveri mendicanti, sostenne l’iniziativa di Isabella d’Aragona a favore di donne maltrattate o abbandonate, ben tre opere caritative erano rivolte alle donne di strada ed altre due per l’accoglienza delle orfane povere.

Istituì anche il Monte di Pietà che forniva assistenza sanitaria gratuita ai meno abbienti.

Durante la carestia nel 1570 organizzò ben cinque mense popolari e promosse l’importazione di generi di prima necessità, inoltre destina ai poveri il ricavo di 40000 scudi proveniente dalla vendita del principato d’Oria ereditato dal fratello Federico.

IL PASTORE SANTO

La morte del fratello Federico fu interpretata da Carlo come un invito di Dio a mettersi pienamente al suo servizio e nel tempo la sua dedizione diventa sempre più generosa e totale, inizialmente con la decisione di farsi ordinare sacerdote e successivamente vescovo, poi il continuo lavoro per la Chiesa come collaboratore di Pio IV, la partecipazione al Concilio di Trento e l’impegno completo nella Diocesi Ambrosiana in cui si preoccupa di essere il buon pastore ad imitazione di Gesù che guida il suo popolo.

Il suo programma fu concreto verso i suoi fedeli e lo dimostrò con il suo comportamento in occasione della peste, mentre le autorità civili fuggirono, Carlo rimase in città incoraggiando il clero a fare lo stesso.

La mole di lavoro che affronta per governare la sua diocesi fu enorme, tale da dover ridurre il suo riposo a non più di quattro cinque ore a notte e nonostante ciò non trascurò la vita spirituale che riuscì a vivere intensamente con la preghiera.

La peste del 1576-77 fu interpretata da Carlo come un segno divino che richiede una riparazione attraverso un’intensa vita di penitenza che applicò con il digiuno, praticato il mercoledì e il venerdì, ma anche nutrendosi una sola volta al giorno con pane, acqua, frutta e legumi che solo occasionalmente infrangeva nelle grandi festività.

In coerenza con il suo vivere nella penitenza modificò anche lo stemma della sua famiglia togliendo il freno e il liocorno dei Vitaliani e dei Borromeo, lasciando solo il motto humilitas.

La vita austera però non impedì a Carlo di coltivare le amicizie e gli affetti familiari e di avere un vero interesse per la cultura e per l’arte soprattutto quando era al servizio della liturgia e della chiesa, questo interesse si concretizza quando fonda istituzioni culturali e la sua stessa biblioteca.

La famiglia Borromeo era di origine nobile e ricca, questo permetteva a Carlo una vita agiata a cui però successivamente vi rinunciò ritenendo che fosse meglio essere personalmente povero, seppur inizialmente utilizzasse le rendite dei propri averi per far elemosina, per riparare e costruire chiese.

Carlo ebbe anche una particolare attenzione per i poveri e gli ammalati, questo si vide durante la pestilenza.

Mentre le autorità civili e i medici si limitavano a prendere informazioni o a prescrivere i farmaci attraverso le finestre o comunque rimanendo all’esterno del Lazzaretto, luogo in cui venivano trasportati i malati, Carlo visitò personalmente gli appestati al suo interno e andò anche dagli ammalati presenti nelle case e nelle campagne.

Fedele al suo motto episcopale “Humilitas” visita, conforta e spende tutti i suoi beni per aiutare gli ammalati. 

Pubblicò anche delle direttive per l’assistenza agli appestati che furono considerate molto funzionali tanto da essere ripubblicate in occasione della peste del 1630.

Nel corso della peste, per ottenere la grazia della liberazione dal morbo, Carlo fece tre processioni penitenziali a piedi nudi portando il Crocifisso o la reliquia del Santo Chiodo e, quando qualche mese dopo l’epidemia terminò, come ringraziamento l’arcivescovo fece erigere la chiesa di S. Sebastiano.

La sua presenza, con esempi di carità e di coraggio, è stata talmente impressa nei cuori della gente di Milano che il periodo storico verrà ricordato come la “peste di San Carlo” e secoli dopo anche Alessandro Manzoni ne parlerà nel romanzo “I Promessi Sposi”.

Bisogna ricordare che Carlo maturò anche una particolare devozione per la Passione di Gesù da cui nacque il desiderio di venerare la Santa Sindone, che all’epoca era proprietaria dei duchi di Savoia e conservata nel Castello di Chambéry, in Francia.

In onore al vescovo di Milano, nel 1578 la famiglia Savoia, nella figura del duca Emanuele Filiberto, fece spostare il sudario di Cristo a Torino.

Carlo Borromeo partì a piedi per Torino il 6 ottobre dello stesso anno, accompagnato dal suo direttore spirituale il gesuita Francesco Adorno e da un piccolo seguito di segretari e canonici, arrivando a destinazione dopo 4 giorni.

Rinnovò il pellegrinaggio alla Sindone nel 1581, 1582 e nel 1584 e in queste occasioni si fermò con devozione e preghiera nelle cappelle del Sacro Monte di Varallo.

I suoi pellegrinaggi erano caratterizzati da molte ore di preghiera e da digiuni, perchè Carlo voleva unire le sue penitenze alla Passione di Cristo.

All’età di 45 anni Carlo soffriva di diverse malattie, ma ugualmente in marzo posa la prima pietra del Santuario di Rho e fonda la Confraternita del Rosario in Duomo, durante l’estate fece la visita pastorale nel basso milanese e nella Brianza, poi in ottobre di ritorno da Torino andò a Varallo per eseguire gli esercizi spirituali con il gesuita Adorno.

Durante queste preghiere davanti alle cappelle della Passione fu colto da forti febbri che però non gli impedirono di recarsi il 29 ottobre, con delega papale, ad Ascona per la cerimonia di fondazione del Collegio Papino, però il primo novembre ebbe un nuovo malore.

Fu trasportato in barca a Milano attraverso il Naviglio e raggiunse casa il 2 novembre.

Le condizioni gravi del cardinale fecero chiedere da lui stesso l’amministrazione dei sacramenti ricevendo il Viatico e l’Unzione degli infermi.

Carlo muore a Milano a soli 46 anni nella sera del 3 novembre 1584 lasciando però un’eredità morale e spirituale immensa.

LA CANONIZZAZIONE DI SAN CARLO

Il sepolcro di Carlo Borromeo fu subito meta di culto da parte del suo popolo e questo indusse gli oblati di Sant’Ambrogio in accordo con le autorità civili di chiedere l’apertura del processo diocesano nel 1601.

Viene beatificato nel 1602 da Clemente VIII e poi canonizzato nel 1610 da Paolo V.

Le sue spoglie riposano nella Cripta del Duomo di Milano, denominato “Scurolo”, ricoperto da pannelli in lamina d’argento che ne ripercorrono la vita.

La bolla di canonizzazione ne elogia le molte virtù personali, sottolineando principalmente gli aspetti della sua pietà, della sua ascesa, della carità e proposto come modello di amore di Dio e del prossimo.

In epoche successive viene valorizzata anche la sua grandezza come vescovo riformatore della Chiesa, quindi come pastore.

 

Bibliografia:

San Carlo Borromeo di M. Aramini

https://www.vaticannews.va/it/santo-del-giorno/11/04/san-carlo-borromeo–arcivescovo-di-milano-e-cardinale.html